Dopo 11 giorni di combattimenti è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco fra Israele e Hamas. I termini dell’accordo sono ancora molto vaghi, praticamente girano attorno ad un concetto, “silenzio in cambio di silenzio”, aperto a così tante interpretazioni da non garantire di fatto nessuna certezza. Una delle poche cose da fare è quella di elencare i punti più salienti di questi ultimi giorni, analizzarli e cercare di arrivare a delle possibili previsioni sul breve e medio termine.
Errori di calcolo. Hamas ha ripetuto lo stesso sbaglio commesso da Hezbollah nel 2006 quando scoppiò la Seconda guerra del Libano. Col senno di poi Nasrallah ammise di aver sottovalutato la risposta israeliana, convinto che Gerusalemme si sarebbe accontentata di qualche giorno di bombardamenti per poi intavolare delle trattative. Anche in questo caso Hamas, vista la fragile situazione politica israeliana, ha pensato che il tiro di razzi verso la capitale israeliana non avrebbe provocato le reazioni che Israele ha avuto. Un’escalation del genere ha dato la possibilità agli israeliani di effettuare bombardamenti di vasta scala su strutture militari, come la “metropolitana”, altrimenti intoccabili.
Fino a quando? Dopo un’operazione del genere Israele ha raggiunto un livello di deterrenza maggiore di quello esistente prima degli scontri? Difficile dirlo, Hamas ha bisogno di mantenere alta la tensione verso Israele per giustificare la sua fallimentare politica interna, un’economia inesistente e livelli di disoccupazione che superano il 50%. Fino a quando durerà questa situazione di stallo il dilemma israeliano rimarrà sempre lo stesso: qual’è il numero di razzi da incassare senza praticamente reagire? Se Israele rispondesse in maniera decisa anche ad un solo colpo di mortaio sparato dalla striscia probabilmente i rapporti di forza cambierebbero, ma è molto improbabile. Basti pensare che negli ultimi giorni precedenti la tregua sono stati sparati dal confine libanese almeno una decina di razzi verso il nord di Israele. Gerusalemme ha preferito rispondere in maniera molto blanda per evitare l’apertura di un ulteriore fronte, dimostrando anche in questo caso che non ogni lancio di ordigni verso il paese riceverà una reazione tale da intimorire l’aggressore.
La strana coppia. Negli ultimi anni, pur di avere una parvenza di tranquillità lungo la striscia di Gaza, Israele ha di fatto pagato una tangente a Hamas permettendo che ogni mese il Qatar versasse a Hamas decine di milioni di dollari in contanti per finanziare gli stipendi dell’apparato burocratico e favorire la crescita degli armamenti (si calcola che Hamas avesse, prima degli scontri, nel proprio arsenale almeno 14mila razzi). Questa politica si è rivelata disastrosa, l’interesse prioritario, non solo israeliano, sarebbe quello di favorire investimenti nel campo civile, creando nuovi posti di lavoro e sviluppando un’economia degna di questo nome. Attualmente il livello di vita della maggioranza dei Gazawi si aggira sui 2 dollari al giorno. Ma uno sviluppo del genere è possibile solo con un monitoraggio efficace di come vengono effettivamente utilizzati i fondi. L’apparato di Hamas è estremamente corrotto e il mondo occidentale non ha nè la volontà politica nè la forza necessaria per imporre degli adeguati canoni di trasparenza.
Vincitori e vinti. Com’è prevedibile ognuna delle parti in causa si è già autoproclamato vincitore indiscusso dell’ultima tenzone. Hamas è riuscito a riportare il problema palestinese, seppure per poco tempo, all’ordine del giorno. La sua popolarità è notevolmente aumentata sia nel mondo palestinese che in quello arabo. In un conflitto assimetrico, il solo fatto di non essere collassati in uno scontro contro l’indiscussa superiorità militare israeliana è già di per se stessa una vittoria. Israele dal canto suo è riuscito a distruggere infrastrutture militari costruite nel corso di decenni, infliggere gravi perdite fra le file dei miliziani e fatto capire che quando vuole colpire duro fa veramente male. Nel 2006 il comportamento israeliano verso Hezbollah convinse la fazione sciita a più miti consigli, e da allora il confine settentrionale è rimasto tranquillo. Ma Hezbollah è una milizia armata all’interno di uno stato sovrano, il Libano, Hamas è più libero nei suoi movimenti e ha meno scrupoli.
Visti i presupposti Israele deve agire immediatamente su tre fronti: arabi israeliani, ANP e rapporti internazionali.
Arabi israeliani. E’ il problema più spinoso e più urgente da affrontare. Il rapporto di convivenza pacifica e di reciproco rispetto fra maggioranza ebraica e minoranza araba si è incrinato in maniera molto preoccupante, soprattutto se si tiene conto che non c’era nessun segno premonitore ad una reazione del genere. Senz’altro i rapporti fra il governo israeliano e gli arabi israeliani in questi ultimi anni si sono deteriorati, ma proprio in queste ultime elezioni il voto arabo era diventato determinante come non mai e l’appoggio esterno ad un governo di destra appariva una possibilità quasi certa. Il problema principale del settore arabo è la violenza e la criminalità dilagante, un’emergenza di cui i primi a lamentarsi sono propri gli stessi cittadini arabi. Netanyahu ha fomentato per molto tempo l’odio e l’astio fra i diversi settori della società israeliana, è tempo di moderare i toni e ripristinare un dialogo basato sulla collaborazione e sul rispetto reciproco.
Rapporti con l’ANP. I rapporti fra Autorità palestinese e governo israeliano hanno sempre avuto degli alti e bassi ma di fondo il livello di cooperazione, almeno sul piano della sicurezza, è sempre stato proficuo. Il termine di questa serie di scontri è l’occasione per rafforzare la cooperazione economica fra Israele e la Cisgiordania. Hamas non è riuscito a creare un fronte interno nei territori occupati, ma ha indiscutibilmente un enorme seguito, soprattutto fra i giovani. Per spezzare questa unione l’unica alternativa è quella di migliorare il livello di vita palestinese, e non solo dal punto di vista economico. Abu Mazen è vecchio e politicamente ormai inesistente, Israele deve individuare i possibili eredi del Rais palestinese e cominciare fin da adesso a instaurare un rapporto di fiducia con dei traguardi politici reali e possibili da concretizzare. Se i palestinesi dovessero realizzare che solo con le violenze e la linea dura di Hamas si può arrivare a dei risultati, la situazione sfuggirebbe completamente fuori da qualsiasi controllo.
Rapporti internazionali. Se dopo un conflitto del genere, dove palesemente Hamas ha attaccato per prima, dirigendo i suoi razzi verso Gerusalemme, ancora una grande parte dell’opinione pubblica occidentale si è schierata “senza se e senza ma” a favore di un’organizzazione terroristica, allora Israele deve rivedere in maniera drastica il suo atteggiamento verso i media e nel mondo dei social network. Stiamo vivendo un’epoca dove un messaggio di 2 minuti sembra un’eternità e qualsiasi ragionamento logico perde qualsiasi valore di fronte a slogan ripetuti all’infinito. I ragazzini di oggi sono quelli che influenzeranno le scelte politici dei leader occidentali fra pochi anni. E’ una sfida che non si può assolutamente perdere.
Hamas e Bibi. Un rapporto di odio e amore. Può sembrare paradossale, ma i fatti sembrano confermare come Hamas e Bibi vivano in un sostanziale clima di siombiosi. Hamas ha bisogno di mantenere sempre viva la tensione con Israele per giustificare il suo apparato militare e annichilire qualsiasi fenomeno di opposizione. Bibi, identificato nell’immaginario collettivo israeliano come l’unico uomo politico in grado di fronteggiare le emergenze sicurezza del paese, necessita anche lui di creare dei momenti di tensione che accrescano la sua reputazione. Non è un caso che le tensioni a Gerusalemme sono iniziate il giorno dopo che il Presidente dello Stato affidasse a Yair Lapid, il principale avversario politico di Netanyahu, un mandato di 28 giorni per formare un nuovo governo.
Restrizioni della polizia, mano libera a dimostrazioni di estremisti di destra nei quartieri arabi di Gerusalemme, il tutto in un periodo così critico come il mese del Ramadan, hanno alzato di molto il livello di tensione. Bibi è alla guida del paese ininterrottamente da più di 11 anni, è il premier israeliano più longevo in assoluto, adirittura più del mitico Ben Gurion, tutto quello che è successo e sta succedendo, nel bene e nel male, ricade sotto la sua responsabilità. In altre condizioni forse avrebbe scelto di terminare la sua carriera politica in una maniera più onorevole, ma i processi in corso nei suoi confronti lo portano inevitabilmente a prendere delle decisioni dove gli interessi personali e quelli del paese sono in netto contrasto, favorendo in maniera inequivocaboile la sua sopravvivenza politica. E grazie a Hamas per la sua fedele collaborazione.
Caro Luciano, ti risponde di novo in francese su 2 punti visti delle Francia
+ Le point de départ de cette dernière guerre reste le conflit sur le Mont du Temple et Jerusalem-Est, avec des affrontements quotidiens entre police, habitants arabes et milices d’extrême-droite; le Hamas en a profité pour lancer ses missiles et tenter de mobiliser l’opinion en sa faveur
+ en France au moins, les manifestations sur la Palestine n’affichent aucun soutien au Hamas; je peux t’envoyer les communiqués et les appels signés d’ailleurs par les syndicats et les partis de Gauche, où tu verras des mots d’ordre en faveur de la Paix
amitiés
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Ciao Michel, nel mio post faccio espressamente riferimento ai motivi che hanno alzato la tensione fino allo scoppio delle ostilità. Continuo a ribadire che Hamas ha fatto un errore di calcolo sottovalutando la possibile reazione del governo israeliano al lancio di razzi verso Gerusalemme. Sono contento di sapere che in Francia ci siano state delle nette prese di posizione contro Hamas. La stessa cosa ahimè non è avvenuta in Italia, almeno per quello che ne sappia io attraverso la lettura dei principali quotidiani del paese
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