Nostalgia per Rabin


רבין

Fra pochi giorni, e più precisamente il 4 novembre, ricorrerà il venticinquesimo anniversario dell’assassinio di Yitzhak Rabin, un evento che ha radicalmente mutato la società israeliana, nel bene e nel male. Si può dire che quella notte fini il periodo dell’innocenza, o forse e meglio definirla ingenuità, della società israeliana. Del significato politico dell’omicidio ne ho già scritto in un mio post precedente, questa volta cercherò di parlare dell’uomo, il Rabin vero, genuino, molte volte brusco e scorbutico perfetto stereotipo dello” zabar” israeliano:  spinoso fuori e dolce dentro.  L’unicità dell’assassinio di Rabin ne hanno fatto per molti versi un martire, il trascorrere degli anni e la mancanza di un orizzonte politico che possa indurre ad un pò di ottimismo non fanno che aumentarne la nostalgia e la sensazione che senza l’omicidio le cose sarebbero andate in una maniera totalmente diversa.

Al di là del giudizio finale sul suo operato sia come soldato sia come uomo politico, il suo vero spessore, la sua autentica differenza è insita nel modo col quale ha gestito i suoi momenti di crisi, rivelandosi così simile a noi da potercisi identificare senza alcun problema.

Il breve periodo di panico antecedente l’inizio della guerra dei sei giorni nella quale ricopriva l’incarico di capo di stato maggiore. La sua per niente velata antipatia verso Peres quando si contendevano la guida del partito Laborista. La rabbia e lo stupore quando dovette affrontare lo scoppio della prima intifada come Ministro della difesa tali a tal punto da fargli pronunciare l’ordine di spezzare braccia e gambe ai rivoltosi, “non ci sono rivoluzioni di lusso” amava affermare.  Il suo disprezzo verso Arafat nella famosa stretta di mano sui prati della Casa Bianca subito dopo la firma degli accordi di Oslo.

Sono tutti tasselli di un puzzle facile da ricostruire visto che l’uomo esprimeva liberamente le sue opinioni ed i suoi sentimenti, senza il timore di doversi scontrare con il suo elettorato e dover pagare un pesante prezzo politico. Era al servizio del paese, gli altri interessi passavano in secondo piano.

Una delle cose che più mi sono rimaste impresse nella memoria al suo riguardo è legata alla cerimonia degli accordi di Oslo nel 1993, al momento della firma Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano, estrae dal proprio taschino una comunissima penna “pilot”, una penna del prezzo di pochi euro, alla portata di tutti noi comuni mortali, quasi a voler dire che anche nei momenti più significativi la semplicità era parte indiscindibile del suo carattere.

E’ passato un quarto di secolo, un periodo enorme per un paese come Israele, dove gli avvenimenti si rincorrono a ritmo vertiginoso. L’attuale situazione legata al covid 19 non fa che acuire i contrasti e le tensioni che erano presenti già ai tempi di Rabin. Le spaccature attuali sono tali che c’è un serio pericolo che il tessuto sociale non riesca a contenere forze troppo diverse e in perenne contrasto.

Ho una grande nostalgia per Rabin, l’uomo che nelle sue debolezze, la sua rabbia ed i suoi momenti di crisi si è rivelato uno degli ultimi grandi leader che Israele abbia avuto. Non il migliore, ma uno dei più genuini e per questo così umano.

6 pensieri su “Nostalgia per Rabin

  1. Dopo la morte di Giovanni Falcone una mano ignota scrisse “Oggi è morta la speranza dei siciliani onesti”. Da spettatore esterno e disinteressato penso che con l’assassinio di Rabin è morta la speranza di chi credeva nella soluzione “Due popoli due Stati”. Lei parla di innocenza e di ingenuità. Io parlerei piuttosto di fine dell’ipocrisia di quelli che, mentre da una parte parlano di “processo di pace” dall’altra procedono imperterriti con nuovi insediamenti in territorio palestinese. Ma perchè nessuno dice chiaramente che, con l’assassinio di Rabin, i fautori della Grande Israele hanno preso il sopravvento nel Paese e perseguono questo obiettivo incuranti di tutto il resto

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    • Ciao Robel, è indubbio che chi governa oggi Israele non ha molta voglia per non dire nessuna, di intraprendere un serio processo di pace. Quello che ho scritto si riferiva a qualcosa di diverso, fino all’assassinio di Rabin la politica israeliana era vissuto in un modo diverso e tutti gli schieramenti politici non riuscivano minimamente a immaginare la possibilità di un atto del genere, sicuramente non da parte di un ebreo. La morte di Falcone, per quanto tragica possa essere stata, non è altro che un anello di una lunga catena di crimini mafiosi che ammorbano tutta l’Italia e non solo la Sicilia.

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      • Ora ho capito. Pensavo che i termini “innocenza” e “ingenuità” fossero rivolti a Rabin per aver creduto nella possibilità di concretizzare l’accordo con i Palestinesi. Per il resto concorda con me che un serio “processo di pace” è in alto mare. Io però penso che non sia solo la posizione dell’attuale Governo ma della stragrande maggioranza della popolazione israeliana (in particolare degli elettori) e quindi che sia ormai una via senza sbocco e gravida di conseguenze inquietanti. Naturalmente non ho bisogno che mi dica cosa sia la Mafia e cosa sia stata la morte di Falcone. Nel riportare la frase del siciliano anonimo volevo solo trasmetterLe l’analogo senso di sconforto e di frustrazione che hanno provato tutti quei spettatori esterni e disinteressati (che io ritengo siano la maggioranza dell’opinione pubblica europea) quando hanno temuto che, con la morte di Rabin, fosse caduta ogni illusione sul “processo di pace”. Previsione puntualmente avveratasi!

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      • Robel, non penso che la stragrande maggioranza sia di destra. C’è senz’altro una forte deriva verso quel settore ma di fondo gli israeliani sono molto pragmatici e disposti a firmare un accordo onesto e realistico. La destra israeliana non ha i numeri per governare da sola e in questo momento è appoggiata da dei partiti centristi. Quello che manca è la fiducia, una dote che in questo momento è molto scarsa, soprattutto dopo la fine dell’ultimo conflitto.

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      • Mi permetta di essere scettico. Non è una questione di destra e di sinistra. Seguo le vicende d’Israele da quasi 60 anni (ho iniziato a 10 anni con la collezione dei francobolli dello Stato d’Israele) e mi sono convinto che l’obiettivo della Grande Israele sia, nei fatti, perseguito dalla stragrande maggioranza degli Israeliani. Se ci fosse la maggioranza a favore di un accordo onesto e realistico, di cui Lei parla, allora questa maggioranza dovrebbe insorgere come un sol uomo contro la crescita continua degli insediamenti in territorio palestinese che va avanti imperterrita da oltre 40 anni sotto tutti i governi (di destra e di sinistra). Mi sembra invece che vi siano solo delle sparute voci, che non riusciamo a sentire. Temo inoltre che l’accordo di cui Lei parla preveda per i palestinesi solo una soluzione di Stato gruviera/riserva indiana in cui vi siano delle enclave circondate da insediamenti e senza una vera continuità territoriale. Nulla che lontanamente possa somigliare ad uno Stato che goda della sua piena sovranità. Tutto questo naturalmente giustificato dalla primaria necessità della sicurezza!

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      • Non penso che vi siano grandi divergenze fra di noi. Anch’io sono contro la politica degli insediamenti e l’ho scritto più volte, così come sono convinto che un accordo di pace coi palestinesi sia più che urgente per gli interessi di Israele. Mi sembra che nella prova dei fatti Israele abbia avuto il coraggio di prendere le decisioni giuste come gli accordi di pace con l’Egitto e la Giordania. Sono d’accordo con te quando parli di uno stato gruviera per i palestinesi e da questo punto di vista la leadership israeliana sta consumando un suicidio politico che può minare la ragione stessa del Sionismo. Per quanto riguarda la sicurezza l’ultima guerra non ha fatto altro che portare acqua al mulino di chi sostiene che il nostro destino sia quello di vivere continuamente sulle armi e di non poterci fidare di nessuno. Ed il fatto che in Europa le manifestazioni riguardanti il conflitto israelo palestinese siano sempre a senso unico non aiuta certo a rassicurare gli animi dell’israeliano medio. Tanto per fare un esempio: proprio in questi giorni l’Egitto sta radendo al suolo centinaia di abitazioni al confine con Gaza per costruire una fascia di sicurezza larga 500 metri e risolvere cosi il problema delle gallerie sotterranee. Si parla di decine di migliaia di sfollati. Ho cercato sui quotidiani italiani ma non ho trovato nessun accenno, per non parlare dei social net work pro palestinesi.

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