Mi sembra di averlo già scritto una decina di volte, ma di tanto in tanto è meglio ricordare un principio basilare per fugare ogni possibile dubbio: Israele è una società complessa, variegata e molto complessa. Lo si può vedere e percepire in ogni campo, molti dei quali ho già descritto, questa volta tocca al cinema. E quando si parla di cinema israeliano non si può affrontare l’argomento senza descrivere un genere ben definito sviluppatosi nel corso degli anni ’70, quello dei film borekas. Continua a leggere
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Nani e giganti
La storia di oggi è forse una di quelle più assurde da me narrate in tutti questi anni. Niente può essere dato per scontato, quello che può sembrare una maledizione ed un handicap insuperabile si rivela improvvisamente un’insperata via di salvezza. Uno degli uomini più malvagi mai apparsi su questa terra si rivela a sua insaputa (e suo malgrado) il salvatore di sette fra fratelli e sorelle da lui sottoposti a indicibili torture. Dopo aver letto l’incredibile storia della famiglia Ovitz niente sarà più come prima, la linea di confine fra bene e male diventerà ancora più offuscata e indistinta. La fortuna, il destino o il caso assumeranno una nuova dimensione. Continua a leggere
Una gioia triste
Il passaggio dalla tristezza e lo strazio di yom ha zikaron alle celebrazioni di yom haAzmaut, la giornata dell’indipendenza, è così repentino e dicotomico da stupirmi ogni volta. Ma è una prova in più di quanto la volontà di una vita incerta sia sempre più forte di una morte certa. Una vita piena il più possibile di gioia, anche se nel nostro caso è una gioia triste. Continua a leggere
Uscimmo lentamente
E’ scomparso Arik Einstein, non posso dire se sia stato il miglior cantante israeliano di tutti i tempi, ma sicuramente e’ stato uno dei piu’ significativi, le sue canzoni sono da sempre parte integrante della colonna sonora della cultura israeliana. Continua a leggere
Sette cosa?
Sette cosa? Sette. Sette cosa? Sette quanto? Chi non è in grado di decifrare questo dialogo surreale rivela una grave lacuna circa l’umorismo israeliano. La frase di cui sopra, diventata un’autentico tormentone nell’ebraico quotidiano, fa parte di uno sketch del mitico trio comico “Hagashash haHiver” meglio noto in Israele come i “Gashashim”