Dopo 12 anni ininterrotti al potere e più di 15 in totale Benjamyn Netanyahu ha cessato di governare Israele. Comincia una nuova era o è soltanto un breve incidente di percorso? E’ difficile dirlo, basti pensare che ancora spoche ore prima del voto molti dei più navigati commentatori politici israeliani erano in dubbio sulle reali possibilità da parte del duo Lapid-Bennet di formare un governo. Per inciso, sono li stessi opinionisti che fino a poco meno di un mese fa davano al 10% le probabilità che un simile governo potesse avere una chance. In ogni caso la risicata maggioranza e le grida e l’astio della nuova opposizione fanno prevedere che il nuovo governo non avrà per niente vita facile, almeno agli inizi.
Se una coalizione formata da otto partiti eterogenei e talvolta in netto contrasto dal punto di vista ideologico sono riusciti comunque a schiodare Bibi dalla poltrona di primo ministro il principale merito è da attribuire a Netanyahu stesso. Bibi ha sprecato tutte le munizioni in suo possesso, ed erano tante, arrivando al momento decisivo senza nessuna arma in grado di sparare il colpo decisivo. Oltre a tacciare chiunque osasse criticarlo apertamente di tradimento e di far parte della sinistra più radicale, Bibi ha minato soprattutto la sua credibilità. Gli accordi un governo a rotazione con Benny Gantz sono stati la goccia che ha fatto traboccare un vaso colmo di promesse mai mantenute. Molti dei suoi fedelissimi affermano ormai a voce alta che questo è stato praticamente il suo errore più vistoso e determinante.
Il nuovo governo appare a prima vista molto fragile, instabile e formato da troppi partiti. Ma queste debolezze potrebbero rappresentare i suoi punti di forza. Bennet si è compromesso il suo futuro politico e solo guidando il paese in maniera pacata e relativamente moderata potrà forse riuscire a ricucire lo strappo esistente con la sua tradizionale base elettorale. Almeno la metà dei partiti dell’attuale coalizione hanno molto da perdere nel caso si tornasse alle urne nei prossimi 12 mesi. Se il nuovo governo riuscirà a far approvare la manovra finanziaria e il conseguente bilancio statale per il prossimo biennio entro la fine del 2021 avrà una solida garanzia per il proseguio della sua legislatura. In Israele esiste infatti una legge per la quale non basta votare una mozione di sfiducia per far cadere un governo, bisogna contemporaneamente presentare una coalizione alternativa in grado di raccogliere almeno 61 dei 120 seggi della Knesset. E Netanyahu questi numeri non li ha.
Bennet e Lapid dovranno puntare sulle larghe intese per poter traghettare la loro compagine fino alla fine della legislatura. Educazione, Sanità, Infrastrutture, Wellfare, sono tutti settori dove non esistono enormi differenze di pensiero e dove l’impatto col cittadino è immediato. Sarà in questi campi che il nuovo governo dovrà investire i propri sforzi per dimostrare anche a chi in questo momento si trova dall’altra parte della barricata che le cose stanno cambiando. Questo significa che non ci saranno grandi cambiamenti per quello che riguarda il processo di pace, le posizioni ideologiche sono troppo diverse per arrivare ad un accordo.
In ogni caso si tratta di un governo pieno di novità. Il nuovo premier Naftali Bennet è il primo politico religioso alla guida dello stato ebraico, dei 27 ministri 9 sono donne, un record. Per la prima volta un partito arabo fa parte di una coalizione di governo. Uno dei ministri è musulmano, era successo soltanto una volta in precedenza.
Molto scontento all’interno del Likud, e già si sentono le prime critiche. Il problema principale di Netanyahu all’interno del suo partito è quello di non aver mai prescelto un suo successore, penalizzando anzi chi gli ha sempre dimostrato il suo appoggio più incondizionato. Come affermò una volta Andreotti “Il potere logora, chi non c’è l’ha…”. Sarà interessante da questo punto di vista quanto i deputati del Likud riusciranno a svolgere il loro lavoro di opposizione nel corso dei prossimi mesi. Se Bibi non riuscirà a ritornare in sella entro la fine dell’anno si aprirà una lotta a coltello non solo all’interno della sua lista, è prevedibile che anche i partiti ultraortodossi faranno un clamoroso ma prevedibile dietrofront per entrare nella coalizione Lapid-Bennet e usufruire così dei fondi governativi di cui hanno un estremo bisogno per garantire la loro sopravvivenza politica.