La storia del movimento kibbustistico è poco conosciuta al grande pubblico, non solo fuori dei confini israeliani, ma anche all’interno del paese stesso. Nel mio piccolo ho cercato di scrivere almeno a grandi linee la nascita e lo sviluppo di questo continuo laboratorio umano e sociologico. Questo tentativo così ambizioso di cambiare il carattere umano, di creare una società nuova, giusta ed egualitaria ha dovuto scontrarsi con lo scoglio della realtà quando ancora la realizzazione del sogno si effettuava navigando a vista. Le enormi difficoltà, più umane che materiali hanno fornito e ancora forniranno un infinito materiale di studio per chi voglia approfondire qualcosa di unico a livello mondiale. Come qualsiasi altra società, anche una società così particolare ha bisogno di miti che possano tramandare nel tempo i valori specifici sulla quale ha basato le sue fondamenta. Fra i diversi miti che accompagnano la storia di questo movimento questa volta parleremo della storia di Beitania Eilit, forse l’esempio più significativo delle inevitabili contraddizioni che hanno accompagnato da sempre lo scontro di un sogno con la realtà circostante.
Beitania Eilit fu l’embrione del primo kibbutz del movimento Hashomer Hatzair, da sempre il più elittistico e ideologico fra tutte le diverse realtà specifiche dei diversi kibbutzim. Fu anche il banco di prova per un gruppo di giovani idealisti borghesi arrivati in Palestina decisi a tutto pur di cambiare la loro realtà in qualcosa di radicalmente diverso. Un gruppo di 23 ragazzi e 4 ragazzi insediatisi su una collina antistante il lago di Tiberiade, la culla del primo kibbutz in assoluto: Degania.
Galiziani di origine, figli della cultura austro ungarica e delle nuove teorie della psicoanalisi di Freud, facevano parte della terza ondata migratoria delle cinque che formarono lo scheletro del futuro stato ebraico. Una gioventù con alle spalle l’orrore della prima guerra mondiale, la guerra civile in Russia e il successo della Rivoluzione d’ottobre.
Nonostante l’avventura di Beitania fu di breve durata, meno di dieci mesi, l’impatto ideologico che ebbe sui pionieri e sugli intelletuali del movimento sionistico fu enorme. Le confessioni e i diari pubblicati poco tempo dopo rivelarono al grande pubblico la realtà di un gruppo di intellettuali alle prese con la realtà di tutti i giorni. Il duro lavoro fisico, i contatti umani. l’eterna domanda di essere in grado di sopportare una vita così dura pur di realizzare l’ideale così tanto agognato, i rapporti e le tensioni che inevitabilmente si creano sul piano erotico e sessuale in un gruppo di giovani con gli ormoni a mille. Ma l’erotismo era vissuto in una maniera completamente ingenua, i numerosi freni inibitori che ancora zavorravano la loro generazione gli spingevano a vedere i rapporti fra uomo e donna pricipalmente attraverso un’ottica spirituale
Proprio per cercare di dare sfogo a così tante frustrazioni che si creavano in seguito ad un modo di vita per metà monastico e per metà rivoluzionario, il sistema più comune era quello della “confessione pubblica”. Qualsiasi membro del gruppo aveva la possibilità di svegliare a metà della notte (di giorno si lavorava) tutti i suoi compagni per intavolare una discussione sul valore dell’amicizia, l’importanza del lavoro manuale, e soprattutto la paura di non essere all’altezza di realizzare un ideale a prima vista irragiungibile. Una messa a nudo della tua personalità e dei tuoi dubbi davanti ai tuoi compagni di avventura, una situazione che incise inevitabilmente a crisi personali e che portarono uno dei membri al suicidio.
L’antidoto a questa continua tensione che poteva portare facilmente alla depressione era la ricerca di un continuo contatto con la natura e l’incanalizzazione delle forze represse in qualcosa di positivo. I balli notturni in cerchio intorno al fuoco sono una delle icone più famose dell’epopea pionieristica. Il cerchio rappresentava la forza del gruppo, trasformava il singolo in qualcosa di più grande, improvvisamente grazie ai suoi compagni si sentiva più forte e fiducioso dei suoi mezzi. Fu quello uno dei tanti paradossi di questi ragazzi desiderosi di trasformarsi in un uomo nuovo. La musica e le parole forse erano differenti, ma i balli erano quelli dell’europa orientale, culla del Hassidismo, dove il rapporto fra natura e divino aveva rivoluzionato l’ebraismo religioso.
I ragazzi di Beitania, così come i loro coetanei di altre società comunitarie, avevano sostituito i valori religiosi ebraici con un nuovo Dio: il lavoro. Un valore assoluto a cui donare tutto se stesso, solo attraverso la fatica manuale si poteva capovolgere le fondamenta della popolazione ebraica e redimerla.
Di Beitania è rimasto un monumento a forma di tenda fatto di cemento armato. Al suo interno si trovano i nomi degli 84 kibbutzim fondati dall’Hashomer Hatzair. Beitania era formato da un miscuglio di ideologia, ingenuità e forza di volontà. Se da una parte la lotta principale era contro una natura ostile fatta di terra arida e insalubre, dall’altra il livello intellettuale di questi ragazzi era tale che la loro convinzione di superare tutte le avversità tramite la cultura era indistruttibile.
Ed un giusto dosaggio fra pragmatismo e ideologia può portare a risultati inaspettati, o basta soltanto una buona dose di cinismo? Pensateci su prima di darvi una risposta.