I nuovi equilibri politici e militari che si stanno delineando ai suoi confini settentrionali stanno ponendo Israele a rivedere e aggiornare il suo approccio verso i nuovi padroni della regione. E’ sotto questa ottica che va analizzato il bombardamento aereo avvenuto giovedì scorso del centro siriano di ricerca di Mysaf, in pratica uno stabilimento di armi chimiche e di missili di precisione.
Nonostante il governo di Gerusalemme, come di consuetudine, non confermi ne smentisca la sua responsabilità, l’attacco aereo è un messaggio molto chiaro, sia per l’asse sciita composta da Iran e Hezbollah affiancati dal regime di Assad, sia per la maggiore forza militare e politica della regione, la Russia di Vladimir Putin. Donal Trump per il momento osserva la partita da lontano, a dimostrazione di aver rinunciato quasi completamente ad avere un ruolo decisivo in quella che sta diventando orma definitivamente una zona d’influenza esclusivamente russa.
E proprio la Russia si è dimostrata particolarmente tollerante nel presunto attacco israeliano. La Tass, la sua agenzia di stampa ufficiale, si è limitata a riprendere comunicati di agenzia israeliani che a loro volta riprendevano comunicati provenienti da agenzie arabe rilevando il fatto che Israele non ha interesse a immischiarsi negli affari interni siriani, ma intende agire ogni volta che la sua sicurezza venga messa in discussione. Soprattutto se il pericolo è targato Iran-Hezbollah. Tradotto dal russo significa che entro certi parametri il governo israeliano ha mano libera ad operare militarmente nei cieli siriani.
Un atteggiamento del genere risulta comprensibile alla luce dei numerosi incontri svoltisi negli ultimi mesi fra il premier Nethanyau e il presidente russo Putin. E’ ancora troppo presto però cercare di capire se questo attacco rientri nei parametri russi o sia un messaggio dell’esercito israeliano che la produzione di armi sofisticate nella regione sia inaccettabile.
Israele ha infatti minacciato sia la Siria che l’Iran di interrompere il progetto di sviluppo di nuovi missili in grado di colpire in maniera efficace e precisa bersagli israeliani. Per Israele il bombardamento di giovedì scorso era praticamente una scelta obbligata, visto che in questa zona la credibilità è fondamentale.
Anche se è solo una coincidenza l’azione israeliana coincide perfettamente col decimo anniversario della distruzione di un impianto nucleare siriano di progettazione nord coreana. Se un impianto del genere fosse diventato operativo nessuno sarebbe in grado di prevedere fino a qual punto i numerosi cambiamenti strategici avvenuti nella regione avrebbero potuto stravolgere la situazione. Immagino che anche i più critici commentatori della politica israeliana non farebbero salti di gioia nel caso l’Isis fosse venuta in possesso di armi nucleari.
Dal punto di vista militare il successo della missione è ancora più significativo se si tiene conto che l’impianto colpito era difeso dai più sofisticati sistemi di missili anti aerei esistenti oggi sul mercato, batterie russe S-300 comprese.
Fino a oggi la partita fra Israele e Iran si è svolta in Siria, dove fra l’altro sono stati colpiti almeno un centinaio di convogli destinati alle forze di Hezbollah. Se il regime teocratico di Teheran decidesse di spostare i suoi sforzi in Libano le conseguenza potrebbero portare le forze della regione ad uno scontro militare regionale. Improbabile per il momento, ma non impossibile.