La casa stregata


 

Immagino che la maggioranza dei miei lettori ignori che la mia occupazione principale è quella di guida turistica, e come tale girando in lungo e in largo il paese ho avuto sempre l’occasione di scoprire cose nuove e interessanti al di fuori dei soliti siti standard, sempre belli e interessanti, per carità, ma un pò scontati per chi cerca ogni tanto di uscire dagli schemi e cercare “l’altra Israele”, nascosta e sconosciuta ai più e proprio per questo sorprendente e affascinante. Questa volta bisognerà muoversi verso la frontiera nord del paese, a pochi chilometri dal confine col Libano, in una cittadina di nome Shlomi per cercare la casa stregata (o dipinta). Arrivarci non è per niente facile e non sempre il waze aiuta in questi casi, ed è proprio per questo che non voglio darvi le precise indicazioni visto che penso che in casi del genere bisogna sudare un pò per guadagnarsi questa piccola perla di arte naif frutto del pennello di Afia Zacharia.

Il quartiere dove si trova l’appartamento di Afia, e un conglomerato di anonime case costruite negli anni ’50 per accogliere le masse di immigrati che in pochi anni raddoppiarono la popolazione israeliana. Nessun segnale apparente prepara il visitatore al piccolo tesoro che si annida fra i casermoni di via Nathan Elbaz. Le immagini che si possono trovare nei vari siti internet non rendono giustizia a questo immenso murales che affresca i muri di questo piccolo appartamento trasformato in un museo antropologico che riflette tante culture in un tripudio di colori vivaci che vanno dal pavimento fino al soffitto senza tralasciare il bagno e la cucina.

La storia di Afia è particolare e nello stesso tempo comune a molte donne provenienti dai paesi arabi meno sviluppati dove la maggioranza musulmana era così influente da incidere in maniera radicale sui costumi dellle piccole minoranze. Di lei si sanno poche cose certe sul suo passato giovanile, la sua bellezza obbligò i suoi genitori a organizzare un matrimonio di facciata mentre aveva  dieci anni per evitare che qualche signorotto arabo del circondario la rapisse, come il costume locale permetteva. Le leggende di famiglia raccontano che Afia fu pittrice di corte, ma su questo ho i miei dubbi, visto che moltissimi, direi troppi ebrei orientali vantano titoli del genere, chi avvocato, chi consigliere speciale, chi medico ecc. Forse più semplicemente Afia venne ingaggiata da qualche benestante del villaggio per dipingere le mura di una casa che ai suoi occhi appariva come un palazzo reale.

Notizie più certe le abbiamo dopo l’alià della famiglia in Israele. Sposata con un orafo e madre di sei figli, cambia radicalmente le sue abitudini dopo che il marito le proibisce tassatavamente di continuare a dipingere per occuparsi esclusivamente della casa e della famiglia. I costumi patriarcali di allora erano troppo forti per permettere quella emancipazione femminile che anche in Italia arrivò solo alla fine degli anni ’60. Anche la sua età rimane incerta, ma quasi sicuramente morì ultra centenaria. In ogni caso la svolta artistica di questo emblematico personaggio avviene quando Afia diviene vedova all’età di 80 anni.

Questa liberazione dai vincoli familiari risveglia in lei quella necessità interiore così tanto frustrata da così tanto tempo. Afia comincia a dipingere per se stessa, senza un secondo fine, la sua tecnica è semplice, quasi primordiale. Lo stile e i colori sono chiaramente legati alla sua cultura yemenita, ma ricordano anche motivi africani in generale e etiopi in particolare. Entrando in casa sua si viene accolti da un’atmosfera surreale, un misto di trascendentale, magico e fiabesco. Ancora oggi gli abitanti di Shlomi preferiscono avere poco a che fare con questo appartamento così singolare, ed è difficile trovare chi sia disposto a pulirlo.

Per arrivare al soffitto Afia era solita usare una sedia posta sul tavolo della cucina, fino a che una caduta le impedì di continuare ad affrescarne le pareti. Ma la necessità di esprimere se stessa in qualche maniera la porta a concentrarsi sul dipingere delle comuni bambole acquistate negozi secondo i colori e le fattezze del paese d’origine. E’ questo anche uno dei momenti più difficili di questo singolare personaggio, non tutti i suoi familiari approvano il suo comportamento e Afia affronta un duro periodo dove preferisce isolarsi e vivere in solitudine.

In quel periodo la produzione artistica, così come molte altre cose, era prerogativa quasi esclusiva di Tel Aviv, una città a parte, che aveva contatti praticamente inesistenti con ciò che succedeva in periferia, a maggior ragione nel caso di Afia, un’anonima anziana signora residente in una cittadina famosa per i continui bombardamenti a cui era sottoposta nei momenti di attrito con i “vicini” libanesi. Una volta scoperta fu difficile etichettare questa artista autodidatta e fuori dai soliti schemi. C’è chi definisce la sua arte primordiale, altri hanno provato a chiamarla vergine, infantile, aborigena e africana. Penso che più semplicemente sia l’espressione interiore di chi aveva qualcosa di intimo e personale da raccontare nell’unico modo che conosceva per definire se stessa.

Forse fu solo un caso, ma la creazione artistica di Afia avvenne proprio quando le nuove generazioni di origine orientale presero maggiore coscienza dei loro diritti e cominciarono a imporre in maniera sempre più rilevante la propria cultura ed il loro contesto geografico, politico e artistico. E’ il periodo delle Pantere nere, della musica orientale, della salita al potere delle destre e di molto altro ancora.

La casa magica di Afia ha dovuto passare non poche traversie prima di salvarsi da una probabile ristrutturazione a favore di nuovi inquilini. Vale la pena di visitarla, anche perchè tutta la zona è piena di altre piccole perle turistiche e culturali che una volta scoperte diventano un’esperienza indimenticabile.

 

 

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