“Se vogliamo che tutto rimanga come è bisogna che tutto cambi” è la famosa frase che Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del Gattopardo, fa pronunciare a Tancredi, nipote del principe di Salina. Scrivo questa piccola introduzione non per vantarmi della mia cultura letteraria ma per soffermarmi su questo tipo di elucubrazioni così care ai politici di ogni colore e credo politico sparsi in ogni angolo del globo terrestre. In Israele, con tutto il rispetto per i personaggi del Gattopardo, siamo avanti anni luce sul come ribaltare una situazione palesemente, per non dire già definitiva. Da noi esiste il principio dell’ “Hafuch al Hafuch” traducibile in “Il contrario del contrario” in pratica trasformare due segni negativi in uno positivo, esattamente come nelle nozioni basilari dell’algebra.
Prendiamo per esempio la nuova iniziativa di “Decision at 50“, un movimento fondato da attivisti di gruppi di sinistra vicini a Shalom Achshav, lo storico movimento per la pace israeliano. Questa nuova iniziativa promuove l’indizione di un referendum popolare da svolgersi nel 2017 per decidere se annettere o no i territori occupati.
La data non è casuale, l’anno prossimo ricorrerà il 50simo anniversario della guerra dei sei giorni, conflitto cui dopo il quale tutto l’assetto geopolitico della zona cambiò completamente influenzando non solo il Medio Oriente ma anche, almeno parzialmente, gli equilibri mondiali.
In questa logica del contrario del contrario i promotori dell’iniziativa si trovano in una win win situation. Nel caso che la legge sul referendum non passasse Nathanyau si troverebbe in una situazione insostenibile di fronte al suo elettorato ormai completamente schierato a destra. Sarebbe inamissibile rifiutare una simile occasione, soprattutto se proposta dal campo opposto.
Ancora più insostenibile sarebbe la posizione del premier nel caso che un referendum del genere si concludesse con una prevedibile vittoria a favore dell’annessione. Anche qui Bibi si troverebbe in una trappola da cui sarebbe difficile uscirne senza complicazioni internazionali.
Accettare la volontà popolare significherebbe scontrarsi apertamente con gli Usa, la Russia e l’Europa e sconfessare la formula di “due stati per due nazioni”. Non voglio neanche pensare cosa succederebbe al mio poco amato Primo Ministro se in un referendum del genere la maggior parte della popolazione votasse contro l’annessione, cosa poco probabile ma assolutamente da non escludere. Constatare che nonostante tutto, la necessità di un negoziato diretto e di un accordo definitivo sia una priorità assoluta della maggior parte della popolazione costituirebbe un sonoro schiaffo al confronto del quale quello di Anagni diventerebbe un innocuo buffetto.
Paradossalmente quest’ultimo scenario sarebbe senz’altro il preferito da Bibi, in un caso del genere la sua politica rimarrebbe invariata: sostenere a parole una situazione in cui assolutamente non crede, e tergiversare nei fatti per prorogare il più possibile il momento della verità.
La situazione politica odierna nel campo dei partiti di destra è confusa e variegata. Per i motivi sopra citati il Likud, il principale partito di governo, ha fiutato la trappola e sta cercando una via elegante per declinare la proposta. Il partito nazional religioso di Bennet e quello principalmente basato sull’elettorato russo di Liberman guardano favorevolmente all’iniziativa. Chi si oppone sorprendetemente e ostinatamente al referendum sono i partiti arabi. E’ inamissibile, sostengono, che il futuro dei territori occupati venga deciso da Israele e non dai legittimi padroni palestinesi. Un’altra conferma che la miopia politica sia comune a tutti gli schieramenti parlamentari.
Aspettando gli sviluppi di questa ingarbugliata situazione, per il momento preferisco godermi un solo “Hafuch”, quello equivalente al nostro cappuccino, decorato da un bel cuoricino per iniziare nel miglior modo possibile la giornata.