Immagino che la maggior parte dei lettori sappia cosa sia lo stile internazionale erroneamente definito come Bauhaus. Tel Aviv è la città che più di ogni altra rappresenta questo tipo di architettura e racchiude in un perimetro relativamente stretto migliaia di case costruite secondo questo stile razionale e funzionale. Proprio per questa così alta concentrazione di questi edifici Tel Aviv è stata definita la “città bianca” e gode del titolo di “patrimonio dell’umanità” rilasciato dall’Unesco.
Ma sono sicuro che molti meno lettori siano a conoscenza del fatto che esista in Israele un’altra città che racchiude al suo interno un’altra grande concentrazione di edifici costruiti secondo dettami architettonici che la rendano altrettanto speciale anche se meno attraente, almeno a prima vista. La città in questione è Beer Sheva, non solo la capitale del Neghev ma anche quella del Brutalismo.
A dispetto del suo nome il Brutalismo non è necessariamento legato a qualcosa di poco esaltante dal punto di vista estetico, il suo nome deriva dal bèton brut, un’espressione francese che definisce la tecnica costruttiva del “cemento a vista“. Il Brutalismo ha attecchito molto velocemente in Israele per una serie di vari motivi. Per molti versi è possibile definirlo l’allegoria dello zabar di quel periodo, uno stile rude, diretto e prepotente, proprio come quella generazione di architetti attiva nell’Israele dei primi anni ’50 impazienti di rompere gli schemi esistenti.
L’arrivo delle grandi ondate migratorie di quel periodo, la necessità di fornire velocemente soluzioni abitative economiche e razionali in poco tempo hanno fatto sì che il cemento armato diventasse il materiale più adatto alle esigenze del periodo. Era lo Stato il principale imprenditore edile di quel periodo, una situazione che permise a decine di giovani architetti di sbizzarrirsi e di trasformare interi quartieri ma soprattutto numerosi edifici pubblici e governativi in un enorme laboratorio sperimentale di tecniche, forme e geometrie.
Beer Sheva, trovandosi ai confini periferici del giovane stato era uno dei posti dove veniva lasciata maggiore mano libera, diventando di fatto la capitale delle opportunità urbanistiche, certamente molto interessanti dal punto di vista innovativo ma non sempre comode per i suoi futuri inquilini. La capitale del Neghev ha intuito l’enorme potenziale economico legato ad un possibile turismo urbano legato proprio al suo ricco ma discutibile patrimonio architettonico. In ogni caso ha da poco presentato la propria candidatura come “patrimonio dell’umanità” e sta cercando il modo di legare in modo indissolubile la città allo stile architettonico. Per essere un pò più pratici pubblico le foto di alcuni degli edifici che meglio rappresentano il fenomeno.
Uno dei portici dell’Università Ben Gurion
Il municipio della città
La casa dei cassetti
La libreria dell’Università
La casa dello studente
Le silhouettes che aprono l’articolo mostrano altri edifici che giustificano a torto o a ragione il titolo di capitale del Brutalismo. Sinceramente non me la sento di consigliarvi un viaggio verso il sud esclusivamente per questa esplorazione urbanistica, male che vada potete consolarvi con un giro nella città vecchia da poco rinnovata e risollevare il morale con l’ottimo Falafel Yarok (green falafel) fra i migliori che Israele possa offrirvi.
Beautiful!
"Mi piace""Mi piace"
Thanks
"Mi piace""Mi piace"