Tremate tremate, le pantere son tornate


 

פנתרים

Sono passati esattamente 45 anni da quando in uno dei più degradati quartieri di Gerusalemme scoppiò la rivolta delle “pantere nere”, un movimento di protesta sociale che caratterizzò per molti decenni il panorama politico israeliano. In un certo senso è possibile affermare che le motivazioni che generarono la nascita dei “panterim” sono rimaste immutate cambiando unicamente l’aspetto esteriore ma non la sostanza che continua ad essere il frutto di un continuo e crescendo divario socio economico fra ricchi e poveri e soprattutto fra ebrei di origine nord africana rispetto a quelli europei. L’impronta lasciata da questa protesta così spontanea quanto inattesa fu così profonda che ancora oggi il mito ha superato di molto la realtà dei fatti. Un mito destinato a rinascere, almeno nelle intenzioni di un gruppo di giovani, anch’essi di origini sefardite pronti a raccogliere la staffetta dei loro precedessori.Come in molte altre occasioni la rivolta delle pantere nere cominciò come un caso sporadico che si estese rapidamente paragonabile ad una eruzione vulcanica tanto improvvisa quanto inevitabile. La discriminazione politica e sociale, la povertà ma soprattutto la mancanza di un futuro migliore furono i motivi principali che spinsero le prime decine di persone a dimostrare contro l’inerzia delle istituzioni e la mancanza assoluta di fondi governativi da destinare a migliorare la situazione.

Le pantere erano costituite dai figli della grande ondata migratoria degli anni ’50, centinaia di migliaia di persone provenienti da paesi nord africani in generale e del Maghreb in particolare. Personaggi come Saadia Marciano e Charlie Biton fra i fondatori del movimento acquisirono i primi basilari principi della lotta di classe dalla locale sezione del partito comunista anche se i loro obiettivi non sempre erano in linea con una qualsiasi ideologia.

Le prime manifestazioni a livello locale fino al crescere di un movimento di protesta di livello nazionale rappresentarono un significativo campanello d’allarme per la vecchia guardia laborista, Golda Meier in testa, che si trovò messa improvvisamente fuori gioco da questi gruppi di “facinorosi” al limite della legalità. Rimarrà per sempre negli annali della politica israeliana la frase pronunciata da Golda dopo un incontro coi leader del pantere: “non sono carini” fu il suo lapidario commento. A onor del vero la frase faceva parte di una risposta che il Primo Ministro dette ad un suo collaboratore che alla fine dell’incontro gli aveva definiti “simpatici”. “Chi lancia molotov contro le forze di polizia non può essere definito simpatico” fu l’immediato commento.

Sebbene forti di un massiccio appoggio popolare le pantere non seppere trasformare il potenziale politico in qualcosa di concreto, nelle elezioni del 1973 subito dopo la guerra del Kippur le pantere non riuscirono, seppur di poco, a superare la soglia di sbarramento dell’1%. Il fallimento elettorale portò ad una scissione interna ed i vari leader si accodarono a vari partiti politici già esistenti.

La guerra del kippur ricacciò in secondo piano le rivendicazioni sociali a favore delle problematiche della sicurezza, ma la via era gia stata tracciata, quattro anni dopo per la prima volta nella storia di Israele le destre vinsero le elezioni ed il Likud di Beghin divenne il principale protagonista dell’arena politica. La vittoria di Beghin nel 1977 così come le continue vittorie elettorali di Nethanyau ai giorni nostri sono uno degli innumerevoli paradossi di questo paese. Leader borghesi e askenaziti con un’ottica economica completamente capitalistica riescono una volta dopo l’altra a conquistare il consenso di centinaia di migliaia di elettori completamente agli antipodi da ogni punto di vista.

Nel frattempo è cresciuta una nuova generazione di pantere, forse meno violente ma sicuramente più istruite e più coscienti dei loro diritti e delle continue discriminazioni a loro sfavore. Le soluzione offerte dai vari partiti vengono giudicate inadeguate, ma più di ogni altra cosa il loro principale obiettivo è quello di riscrivere l’epopea sionista e portare al centro della ribalta il sacrificio e la dedizione delle centinaia di migliaia di immigrati spediti loro malgrado a popolare le sperdute periferie del Neghev e delle zone più disabitate e periferiche del nascente stato d’Israele. Ribaltare l’importanza dei ruoli e sottolineare la silenziosa e cieca abnegazione di chi ebbe una assoluta fiducia nei capi del sionismo è una delle principali tappe da percorrere per creare un nuovo e più giusto equilibrio.

Il progetto è ambizioso e forse irrealizzabile, ma l’entusiasmo non manca e le problematiche rimangono sempre le stesse, problematiche destinate inevitabilmente a trasformarsi in un altra grande protesta sociale. Nel frattempo Musrara, il quartiere da cui si svilupparono le pantere nere, si è completamente trasformato. Da zona di confine a ridosso delle postazioni giordane degradata e abbandonata a se stessa, la zona è diventata meta di associazioni culturali e nuovi abitanti in cerca di case a pochi piani da ristrutturare relativamente a buon mercato. La vicinanza alla porta di Damasco, uno dei cuori pulsanti della città vecchia, non fa che aumentarne il valore.

Delle grandi lotte degli anni ’70 sono rimasti pochissimi segni, un vicolo dedicato alle pantere ed un altro alla famosa frase di Golda citata in precedenza. Per la sua particolare situazione politica in Israele le uniche grandi manifestazioni degne di questo nome sono sempre collegate ad avvenimenti politici. La “rivolta del Cottage” di qualche anno fa contro il caro vita nonostante fosse in grado di mobilitare centinaia di migliaia di persone non seppe raggiungere i propri obbiettivi proprio perchè si doveva confrontare con problemi esistenziali quali la sicurezza personale e le continue minacce di Hamas e Hezollah.

Non ci resta che aspettare di vedere se le nuove pantere sapranno tirare fuori le unghie per graffiare chi di dovere.

 

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