Immagino che solo chi sia cresciuto in Italia a suon di biscotti Plasmon e politica negli anni 60-70 del secolo scorso possa capire il significato del titolo. In pratica si trattava di un ossimoro molto in uso da Moro e dalla sua corrente democristiana per descrivere il progresso di avvicinamento fra democristiani e comunisti in quello che fu poi definito il compromesso storico. Questa antitesi così palese, questo equilibrismo di parole così perennemente in bilico è la base dell’ultimo articolo di Sima Kadmon, una delle penne più prestigiose del quotidiano Yedioth hahahronot, pubblicato nell’inserto politico di questo week end.
La tesi della Kadmon è che esiste una differenza fondamentale fra il terrorismo islamico a cui è sottoposto l’Europa a quello con il quale si devono confrontare paesi come la Turchia e Israele. I turchi sono in perenne conflitto con il movimento curdo irridentista del PKK così come Israele deve fare i conti da oltre sessant’anni con i palestinesi sostiene la giornalista.
Cercare di mischiare queste differenti forme di terrore nella stessa pentola per cuocere un minestrone con troppi ingredienti contrastanti è la tattica di Nathanyau e Erdogan per giustificare le proprie politiche fallimentari. La tesi di Bibi secondo la quale il terrorismo islamico non è alimentato da frustrazione e discriminazione, bensì da una matrice ideologica assassina è la classica foglia di fico usata dal premier israeliano per poter manipolare l’opinione pubblica israeliana visto che la lotta al terrorismo è diventato un problema di proporzioni planetarie che colpisce tutte le parti del mondo arrivando in zone che si reputavano immuni da un simile flagello.
Ma è proprio così? si interroga la Kadmon. Le motivazioni fra gli accoltellamenti in corso in Israele e gli attacchi terroristici europei sono realmente identici? O forse è interesse del primo ministro israeliano farli sembrare tali per poter così giustificare la fallimentare politica della destra israeliana ormai al potere ininterrotto da oltre sei anni?
La miopia dei politici israeliani si dimostra sempre più evidente, gioire delle disgrazie altrui e adagiarsi comodamente sul sempre più consumato “ve l’avevamo detto” non risolve di certo il problema, è un dato di fatto che anche Israele nonostante i suoi innumerevoli successi sul campo non è ancora riuscito a debellare definitivamente un problema che è per lo più squisitamente politico. Ma è molto più facile attirare l’elettorato sempre più verso destra quando si parla di una lotta comune ad un nemico che sta attaccando il mondo intero.
Immagino che per molti un’analisi del genere sia inaccettabile e avulsa dalla realtà ma rigettarla in toto senza analizzarla profondamente sarebbe un grave errore. Il problema d’Israele e della sua gestione del conflitto col mondo arabo in generale e coi palestinesi in particolare è tutto racchiuso in un paradosso che definerei “immobilismo obbligatorio”, quando la situazione è relativamente tranquilla e sotto controllo non c’è nessun bisogno d’intrattenere delle trattative perchè ci sta bene così, e quando la situazione si fa tesa, violenta e conflittuale allora una trattativa verrebbe interpretata come un segno di debolezza e quindi non va nemmeno presa in considerazione.
L’Europa sta pagando una politica miope di chi non ha saputo o non ha voluto comprendere il pericolo di un islam radicale cresciuto nel seno della propria democrazia ma incompatibile con i suoi valori di tolleranza e rispetto delle minoranze e delle culture altrui. Ma anche Israele sta pagando da troppo tempo una politica altrettanto miope di chi ignora volutamente il problema dei territori occupati, della crescita demografica palestinese e del continuo distacco fra due popolazioni che fino a pochi anni fa avevano molti più rapporti interattivi di quanto non li abbiano ora.
Ma allo le convergenze del titolo sono realmente parallele o finiranno per incontrarsi? Il terrorismo radicale islamico è quello che caratterizza questa nuova ondata di alcoltellamenti o è lo sbocco di una sensazione di frustrazione e sfiducia in una soluzione politica?
Non importa quale sia la risposta, quello di cui sono sicuro è che la politica del “mal comune mezzo gaudio” non fa che rimandare la soluzione dei nostri problemi invece di risolverli.