Sono passati vent’anni dall’assassinio di Itzhak Rabin e a differenza del sequel de i “Tre moschettieri” di Alexandre Dumas padre la realtà politica e sociale israeliana è ben lontana da un qualsiasi lieto fine. Il programma di pace sancito dagli accordi di Oslo di due stati per due popoli si allontana sempre di più senza avere nessuna seria alternativa, israeliani e palestinesi soffrono entrambi di una cronica miopia politica ormai sfociata in un comodo ma pericoloso immobilismo. Il mondo arabo sta cambiando radicalmente la sua struttura geopolitica, un evento di portata epocale del quale nessuno è in grado di prevederne gli sviluppi neanche nel breve termine. La società israeliana si trova ancora più divisa e più frammentata di quanto lo fosse prima di quel fatidico 4/11/1995 ed i segnali di questi cambiamenti così radicali e continui sono sotto gli occhi di tutti. L’esempio più eclatante e preoccupante di questo nuova realtà è il continuo attacco mediatico rivolto verso le istituzioni, un attacco in atto soprattutto sui social network culminato con messaggi pieni di odio e violenza nei confronti di Reuven Riblin, l’attuale Presidente dello stato d’Israele.
Ho già avuto modo di scrivere in un mio post precedente le mie impressioni e il mio giudizio sull’influenza che ha avuto l’omicidio commesso da Ygal Amir sul futuro di Israele, questo è il motivo per cui oggi preferisco affrontare tematiche più attuali inerenti l’impatto ed il trauma derivanti da quello che rimarrà uno degli eventi chiavi della storia di questo paese.
L’omicidio Rabin ha messo in moto un lento ma inesorabile processo di distaccamento e antagonismo fra le diverse forze politiche e sociali del paese. Uno degli scenari più temuti dagli israeliani è quello non riuscire a tenere solidamente unite le varie anime del paese ed arrivare a dei contrasti tali da causare una micidiale implosione. Aschenaziti vs sefarditi, arabi vs ebrei, ricchi vs poveri, laici vs ultraortodossi, sono solo alcune delle innumerevoli realtà da affrontare e da risolvere.
Nonostante sia relativamente giovane la democrazia israeliana si è rivelata abbastanza solida da poter reggere il colpo di un assassinio politico così rilevante, c’è da porsi però la domanda se la società israeliana abbia saputo trarre le dovute conclusioni per far si che fatti del genere non si possano ripetere.
A mio avviso nonostante le numerose iniziative di dialogo fra le diverse componenti la società israeliana, il livello di violenza verbale soprattutto nella classe politica ha da molto tempo superato i livelli di guardia. Da questo punto di vista è probabile che i politici israeliani non siano nè migliori nè peggiori dei loro colleghi occidentali, italiani compresi, ma la situazione rimane grave, sia il loro comportamento rispecchi le esigenze del paese sia le loro affermazioni siano dettate da calcoli politici puramente personali.
Il vero significato dell’assassinio di Rabin è in fondo questo continuo esame di coscienza che la società israeliana deve porsi di anno in anno. Una specie di Yom Kippur politico durante il quale è possibile espiare le proprie colpe ma alla cui fine deve uscire con dei progetti chiari e reali su come realizzare una società più tollerante, democratica e socialmente giusta.
Per concludere vorrei segnalare due iniziative cinematografiche uscite in concomitanza con l’anniversario dell’omicidio Rabin. La prima consiste nel film di Amos Gitai “Rabin, the last day” presentato alla Biennale di Venezia di quest’anno. Un film documentario della durata di 153 minuti che ricostruisce le ultime ore precedenti la morte di Rabin. Il secondo è un documentario dal titolo “Rabin, con le sue parole” composto esclusivamente da spezzoni di interviste o discorsi del defunto premier, un filmato che descrive a tutto campo le numerose attività di questo genuino rappresentante di quella generazione di zabarim che contribuì in maniera determinante alla creazione dello stato d’Israele.
E sapere che il premio per la sua abnegazione ed i suoi sacrifici sono state tre pallottole sparate a tradimento da un membro del tuo spesso popolo mi provoca ancora oggi una sensazione di rabbia e frustrazione che mi accompagnerà per tutta la mia vita.