Qualche considerazione a caldo dopo l’attacco al convoglio militare israeliana di ieri nel quale sono stati uccisi due soldati ed altri sette feriti.
La realtà è definitivamente cambiata, il confine settentrionale non godrà più, almeno fino al prossimo scontro su larga scala, della relativa tranquillità degli ultimi otto e passa anni. Resta da chiarire se ci troviamo di fronte ad un nuovo tipo di scontro basato su una costante guerra di logoramento seppure di bassa intensità, o se Iran ed Hezbollah hanno deciso di aumentare la tensione cercando contemporaneamente di non tirare troppo la corda.
Hezbollah è un’organizzazione autonoma e non il legittimo rappresentante di uno stato sovrano, ciò le concede un ampio margine di manovra a patto di non coinvolgere tutto il Libano in uno scontro militare con Israele che già negli accordi susseguenti la guerra del 2006 aveva chiaramente dichiarato di considerare il governo libanese responsabile di ogni attacco militare proveniente dalle sue frontiere. Questo dualismo fra il governo e hezbollah è motivo di molte critiche verso il “partito di Dio” da parte di ampi strati della popolazione, critiche di un livello molto più alto di quanto si potesse supporre. D’altra parte Hezbollah si definisce un movimento di resistenza, e senza mantenere un grado più o meno alto di tensione con Israele perde una buona parte del suo diritto ad esistere.
L’Iran è riuscito ad allargare la sua sfera d’influenza nell’area medio orientale ed ha poco interesse a complicarsi la vita creando nuovi focolari, di fatto preferisce riempire il vuoto creatosi in diversi paesi arabi al seguito della “primavera araba”. All’interno del mondo musulmano lo scontro è ormai divenuto una lotta di religione, una lotta aperta fra Sciiti e Sunniti, il problema degli Ayatollah è la crisi economica nella quale si trovano, dovuta principalmente alla drastica caduta del prezzo del petrolio. Per gli iraniani la quadratura del cerchio consiste nel riuscire a coniugare il finanziamento dei vari gruppi terroristici con la carenza di fondi.
In questa situazione già di per se stessa intricata, Nethanyau ed il suo governo non riescono a trovare il bandolo della matassa. L’attacco di Hezbollah è un tentativo per saggiare le intenzioni di Israele e vedere fino a dove è possibile arrivare, il significato pratico è che la deterrenza militare e politica di Israele è notevolmente diminuita. Nethanyau ha già dimostrato una certa titubanza nell’operazione “Protective Edge” della scorsa estate raccogliendo non poche critiche dall’ala destra del suo stesso partito. Chi si dimostra invece particolarmente combattivo è l’attuale ministro degli esteri, Ivette Liberman, il quale invece di impegnarsi sul piano diplomatico come comporterebbe il suo incarico, spinge per un’azione militare “sproporzionata” all’attacco subito. Ma Nathanyau sa per esperienza personale che in situazioni del genere si sa sempre dove si comincia ma non si sa mai dove si finisce.
Come durante un incontro di boxe della durata di 15 riprese appena iniziato, i pugili si stanno ancora studiando cercando di arrivare al punto debole dell’avversario senza scoprirsi. Ognuno è riuscito a piazzare un paio di buoni colpi ma sa che il match è ancora lungo e bisogna saper dosare le forze.
E come se non bastasse è di questi giorni una notizia che sta passando innosservata nonostante la sua importanza. Hamas si è rivolto alle Nazioni Unite per accellerare il versamento dei fondi promesso dai vari paesi arabi come contributo alla ricostruzione dei danni subiti durante “Protective Edge”. I dipendenti “statali” non hanno ricevuto gli ultimi stipendi e la popolazione è in fermento, a complicare la situazione c’è da aggiungere il blocco del valico di Rafiah controllato dagli egiziani. Una situazione simile a quella creatasi nell’agosto 2014 e che contribuì non poco allo scoppio delle ostilità.
Questo è il contesto attorno al quale si svolgeranno le elezioni il prossimo 17 marzo, ancora una volta le problematiche sociali ed economiche verranno poste in secondo piano a favore delle urgenze militari. Ma è inutile comportarsi come gli struzzi, solo una società forte economicamente e socialmente può garantire la vera sicurezza del paese.
L’anno 2015 è iniziato sotto cattivi auspici, rimangono ancora undici mesi per rimettere le cose a posto, basteranno?