“Settembre andiamo, è tempo di migrare”. Molti di voi sanno già che si tratta dell’inizio de “I pastori” una poesia di Gabriele d’Annunzio che mi sono dovuto sorbire ai tempi del liceo e di cui mi ricordo molti passi a memoria. Settembre si avvicina ed è giunta l’ora di tracciare un bilancio più o meno definitivo di questo anomalo conflitto durato cinquanta lunghi ed in parte inutili giorni. L’accordo in corso infatti, ricalca esattamente la prima proposta egiziana presentata una settimana dopo l’inizio delle operazioni, allora il bilancio dei morti palestinesi era di 225. E’ passato un mese ed il numero dei caduti palestinesi è arrivato a 2100 e oltre 12.000 feriti, non deve sorprendere dunque il malcontento che serpeggia all’interno della popolazione di Gaza.Una buona parte delle conclusioni di questa guerra le ho già pubblicate nei miei precedenti post, ma è inevitabile ripetermi per poter fare un’analisi quanto più completa ed approfondita.
Nathanyau ha gestito il conflitto insieme a Moshe (Bughy) Ya’alon, ministro della difesa, e Benny Gantz, capo di stato maggiore dell’esercito. La troyka si è rivelata molto affiatata, cosa abbastanza rara se paragonata ad occasioni simili, anche perchè il primo ministro israeliano sapeva di avere un’opposizione molto forte all’interno dei ministri componenti il gabinetto della difesa, obbligandolo così a presentare le proprie decisioni a cosa fatta evitando di fatto qualsiasi possibilità di discussione a livello politico.
Dal punto di vista tattico Israele si è sempre rivelata troppo affrettata ad accettare le proposte di armistizio. Un comportamento del genere non ha fatto altro che incoraggiare Hamas a continuare i suoi attacchi, interpretando il comportamento israeliano come un segno di debolezza. La domanda più importante al riguardo è se Hamas ed i suoi alleati, Hezbollah ed Iran, hanno più o meno timore di Israele di quanto lo avessero due mesi fa. Il deterrente militare di Israele è un fattore di primo piano per poter garantire una fase di tranquillità e stabilità ai confini dello stato ebraico. Anche qui come nella seconda guerra del Libano, Israele ha agito il più pesantemente possibile, con Hezbollah questa tattica ha dato i suoi frutti, nei riguardi di Hamas e di Gaza le condizioni sono differenti ed è molto difficile prevedere i possibili sviluppi al riguardo.
Anche se l’esercito israeliano ha dichiarato diverse volte di essersi preparato a dovere ad un possibile conflitto coi palestinesi e che l’intelligence militare aveva già mappato tutte le gallerie e gli altri obiettivi militari, resta la sensazione che se l’esercito non prende per primo l’iniziativa il conflitto si trascina verso direzioni contrarie alle previsioni. Se il prossimo conflitto è veramente solo questione di tempo non c’è dubbio che la prossima volta sarà Zahal ad attaccare per primo.
Secondo una stima israeliana le perdite palestinesi si aggirerebbero intorno al migliaio di caduti, ma quello che è più importante è il grande numero dei comandanti di vario grado, un vuoto che sarà difficile da colmare nel futuro immediato. La politica di colpire soprattutto gli alti comandi dell’organizzazione è quella preferita dallo shin bet e dall’esercito, c’è da aspettarsi quindi una ripresa in grande stile delle eliminazioni mirate, sempre che una delle clausole del futuro accordo non ne impedisca l’uso. Si calcola che l’operazione “Protective edge” sia costata più di 2.5 miliardi di euro, non è per niente chiaro quanto una cifra del genere influirà sull’economia israeliana che sta dando ultimamente alcuni cenni di recessione.
Il prossimo fronte su cui Israele dovrà confrontarsi sarà quello giuridico, l’esercito ha raccolto un’enorme quantità di filmati pronti a supportare gli sforzi etici svolti durante i combattimenti per ridurre al minimo le perdite civili. Le esperienze precedenti non lasciano molto spazio all’ottimismo riguardo al giudizio finale, non rimane altro che sperare che il reparto giuridico dell’esercito abbia tratto profitto dal passato.
E’ ancora troppo presto per capire chi ha ottenuto od otterà più vantaggi politici da questa tornata, per il momento direi che uno dei beneficiari è senz’altro Abu Mazen, che è diventato improvvisamente un partner affidabile e ben voluto nelle prossime trattative fra Israele e palestinesi. Non c’è bisogno di una gran memoria per ricordare come Nathanyau definiva fino a poco tempo fa Mahmoud Abas e cercasse in ogni modo di screditarlo agli occhi degli americani.
Una volta di più Nethanyau si trova di fronte ad un bivio cruciale, per oltre cinque anni è riuscito nel suo intento di guadagnare tempo per evitare di prendere decisioni cruciali e coraggiose. Anche se lo volesse l’attuale coalizione di governo gli lascia pochissimo spazio di manovra, ma sono ancora convinto che la maggioranza degli israeliani sia disposta a dei sacrifici duri e dolorosi in cambio di qualcosa di tangibile e duraturo. E Nathanyau in questo momento è l’unico leader in grado di prendere decisioni del genere, il problema è che lo sa anche lui. Ma proprio per questo suo scarso rendimento questa volta Bibi è stato rimandato, e gli esami di riparazione cominceranno fra pochi giorni…