Correva l’anno 1968, Israele era ancora in preda all’euforia dovuta all’ubriacante vittoria conseguita l’anno precedente nella guerra dei sei giorni. Tutto d’un tratto la superficie del paese era più che triplicata ed Israele aveva sotto il suo controllo località e città legate a doppio filo con la sua ultra millenaria storia biblica: Gerusalemme, Gerico, la Giudea e la Samaria, Hevron.Ed è proprio a Hevron che si svolge la storia di questa volta. La fama della città è dovuta alla grotta della machpelà, la tomba dei patriarchi. Secondo la tradizione qui sono stati sepolti Abramo, Isacco e Giacobbe e loro rispettive mogli: Sara, Rebecca e Lea. La tomba di Rachele si trova invece a Betlemme.
Esistevano svariate testimonianze che al di sotto del pavimento odierno si trovasse un ulteriore spazio sotterraneo, praticamente una grotta sotto la grotta, e Moshe Dayan, allora ministro della Difesa voleva conoscerne l’effettiva esistenza e la precisa ubicazione per farne un’entrata separata permettendo così sia ai musulmani che agli ebrei la possibilità di pregare separatamente riducendo quindi al minimo gli inevitabili attriti che un luogo del genere implica.
Non bisogna inoltre dimenticare che lo stesso Dayan era un archeologo dilettante il quale si era creato non sempre coi metodi più ortodossi una collezione di tutto rispetto, un motivo in più per effettuare una visita del genere. Ma la sensibilità del luogo di culto e il netto rifiuto del Waqf ad un simile sopralluogo fecero in modo di accantonare temporaneamente il progetto.
Ma un personaggio come Dayan non era tipo da perdersi così facilmente d’animo. L’incarico di trovare una soluzione soddisfacente venne affidato a Yehuda Arbel, responsabile dei servizi segreti della zona. Una breve visita sul posto chiarì ad Arbel che l’unico accesso alla grotta era costituito da una piccola apertura chiamata il pozzo delle candele, un foro del diametro di 28 cm., praticamente una pentola di media grandezza.
Erano sicuramente altri tempi, e non so dire con precisione se gli israeliani di allora erano più duri, più incoscienti o semplicemente troppo sicuri di loro stessi, fatto sta che la soluzione più logica agli occhi di Arbel fu quella di arruolare Michal, la sua figlia tredicenne. Gli Arbel erano sicuramente una famiglia fuori dal comune visto che la ragazzina accettò con entusiasmo e la madre non oppose alcuna resistenza. Una volta trovato l’agente adatto ora non si trattava che di aspettare il momento opportuno.
L’occasione si presentò poco dopo, quando in seguito al lancio di una bomba a mano in mezzo alla folla di fedeli la città venne posta sotto coprifuoco per alcuni giorni. Dopo un breve ripasso sulla missione da compiere (scattare alcune foto e disegnare una planimetria dello spazio sottostante) Michal venne avvolta in una coperta e condotta nel cuore della notte sul posto. Oltre alla macchina fotografica ed una torcia elettrica la ragazza venne munita anche di una candela e dei fiammiferi per essere sicuri che all’interno della cavità ci fosse ossigeno a sufficienza. Michal si avventurò nei meandri del sotterraneo per più di tre ore, oltre a scattare le foto e disegnare lo schizzo richiesto scoprì che la grotta aveva una seconda uscita bloccata da pesanti massi.
Il giorno dopo Dayan ricevette sulla propria scrivania le foto scattate e un rapporto dettagliato. Anche un veterano navigato ed esperto come lui rimase di sasso quando capì che la responsabile della missione era una ragazzina di soli tredici anni. “Perchè avrei dovuto aver paura? Avevo con me una torcia elettrica” fu la risposta della ragazza alle domande di Dayan che la volle incontrare personalmente. In effetti c’era d’aver paura eccome, in caso di qualsiasi imprevisto (il morso di un serpente, una slogatura, uno svenimento) non c’era alcuna possibilità di poter soccorrere la ragazza. Michal ripetè la missione altre due volte ma ormai era chiaro che il progetto andava accantonato: le tombe erano un luogo troppo sacro per poter rischiare il rischio di una profanazione agli occhi dei fedeli. Nel corso degli anni ci furono ancora due visite del sotterraneo, questa volta attraverso la seconda apertura, quella bloccata dai massi. L’ultima di queste due visite fu organizzata da un gruppo di archeologi che constatò la presenza di altre tombe, probabilmente databili intorno all’era dei patriarchi, ma non vi fu la possibilità di effettuare degli scavi archeologici regolari, lasciando così irrisolti molti quesiti.
Nel frattempo Michal è diventa una docente universitaria esperta di Agnon, premio Nobel israeliano per la letteratura, e si tiene giornalmente in contatto coi propri figli ormai adulti che da tempo hanno abbandonato il nido familiare e l’abbraccio materno. La ragazza di un tempo sostiene ancora oggi di non aver subito traumi legati alla sua avventura, anche se ha molto da ridire sul comportamento dei genitori al riguardo. Le telefonate coi propri figli non sono assolutamente un tentativo di ripetere gli sbagli dei propri genitori sostiene, ma sicuramente prevenire e meglio che curare aggiungo io, non sia mai che qualcuno dei pargoli decidesse di fare lo speleologo.
“fate ciò che dico, non ciò che faccio”
ottima pedagogia, sotto tutti i cieli, ehehehe.
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In Israele c’è un espressione molto in voga fra i soldati: “Ciò che non uccide forgia il carattere” e quelli più cinici aggiungono: “E ciò che uccide forgia il carattere della mamma”.
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bel cortocircuito: mia mamma, per l’appunto, diceva “quello che non strozza, ingrassa”.
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