L’ho cercata per tanto tempo ma alla fine l’ho trovata. E’ una canzone di Fausto Amodei, tredici milioni di uomini, ce la facevano sentire a scuola durante la commemorazione in ricordo delle vittime della Shoà, l’Olocausto ebraico, ma non solo.
Mentre il Giorno della memoria viene celebrato il 27 gennaio in ricordo della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, Yom ha zikaron la Shoà ve la gvurà (la giornata del ricordo dell’Olocausto e dell’eroismo) celebra la rivolta ebraica del Ghetto di Varsavia.
Ritornando alla canzone: il titolo si rifà al totale delle persone assassinate nei campi di sterminio nazisti, oltre agli ebrei il numero include anche handiccapatti fisici e mentali, omosessuali, zingari,oppositori politici, testimoni di Geova e molto altro ancora. Spesso mi chiedo se il messaggio universale del testo di Emilio Jona sia ancora recepito da tutta l’umanità o i sessantanove anni che ci separano da quegli eventi siano stati sufficienti a sbiadirne così tanto il ricordo da renderlo quasi fastidioso, una specie di parente scomodo di cui è meglio non parlarne in famiglia.
Per noi ebrei, il discorso è più complesso, l’ho scritto in un mio post precedente. La memoria è un dovere etico, un valore senza il quale parte della nostra esistenza perde il suo sento storico e morale. Il numero, la premeditazione, l’accanimento e la pianificazione scientifica e consapevole di un crimine così assurdo e ancora oggi così difficile da concepire sono le ragioni che rendono la Shoà un evento unico e irripetibile non solo per il mondo ebraico ma per tutta l’umanità. Sono molto curioso di sapere se la canzone in questione faccia parte del patrimonio culturale italiano o sia stata gettata definitivamente nel dimenticatoio della storia. In tal caso sarebbe veramente un grave peccato.
Per concludere qualche breve cenno biografico sui sei superstiti del massacro nazista che quest’anno, come in ogni celebrazione di Yom ha Shoà, accenderanno sei torce, in ricordo dei sei milioni di ebrei massacrati dai nazisti.
Itzhak Biran, 79 anni, riuscì a scampare al massacro degli ebrei nel villaggio in cui si trovava. All’età di sei anni aveva già perso tutti i suoi familiari. E’ sopravissuto unendosi ad un gruppo di ebrei che si nascondeva nei boschi rubando il cibo per sopravvivere. Arrivato in palestina con l’ “Exodus” fu internato a cibo fino alla creazione dello stato d’Israele. Ha partecipato alla guerra dei sei giorni come pilota per poi diventare pilota civile dell’El Al. Ha chiuso questo doloroso ciclo della sua vita effettuando il suo ultimo volo nella tratta Varsavia-Tel Aviv.
Zvi Michaeli, 97 anni, nato a Salonicco – sopravissuto ad Auschwitz dove ha perso tutta la sua famiglia. Attualmente continua a tenere conferenze sulla sua esperienza per i gruppi di studenti in viaggio in Polonia.
Asher Hod, 86 anni, nato in Polonia e internato nel ghetto di Lodge dove si ammalò di tifo. Passò in seguito la famigerata selezione del dr. Mengele e partecipò alla marcia della morte. Anche Asher continua a fornire la sua testimonianza a scolaresche e gruppi diretti in Polonia.
Haim Herzl, 77 anni, nato a Budapest si salvò nascondendosi sotto il letto il giorno che i nazisti presero sua madre. Si salvo grazie a Raoul Wallenberg, Giusto tra le nazioni, che organizzò nella capitale Ungherese un numero di appartamenti protetti dalla Svezia della quale era membro diplomatico. Dopo la guerra è diventato Rabbino della Yeshivà Nahalim.
Dita Kraus, 85 anni, nata a Praga, deportata prima a Terezin e successivamente ad Auschwitz dove venne nominata responsabile della biblioteca dei bambini. In seguito passò la selezione di Mengele e fu trasferita a Bergen Belzen. Trasferitasi in Israele si dedicò all’insegnamento fino alla pensione.
Hinda Tasman, 85 anni, nata a Minsk. L’unica della sua famiglia sopravvissuta al massacro del ghetto grazie al padre che le cadè addosso dopo la fucilazione.
Possano vivere in pace e tranquillità fino al termine dei loro giorni.