E’ già da qualche tempo che mi trovo ad affrontare un dubbio al cui confronto quello di Amleto diventa un indovinello da bambini.
Da un lato sono terribilmente tentato di adottare l’espressione tipica del mio amico Raoul il cui motto è: “Sono stufo di avere sempre ragione”, dall’altro sono cosciente del fatto che per l’ebraismo, dopo la distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme, la preveggenza e le profezie sono diventate prerogative degli sciocchi e degli stolti. Non mi resta che indirizzarvi ad un mio precedente post per dimostrarvi che ogni tanto ci azzecco.
La fine di aprile, il termine ultimo entro il quale Kerry si era impegnato a raggiungere una lettera d’intenti fra israeliani e palestinesi si avvicina a grandi passi, e di fatto le posizioni fra le controparti non solo non si sono avvicinate ma per certi versi risultano ancora più complesse. Attualmente l’ostacolo più ostico in programma è la liberazione dell’ultimo gruppo di terroristi arabi detenuti nelle carceri palestinesi. Nonostante il numero sia esiguo, 26 in tutto, la simbologia gioca un grosso ruolo trattandosi per lo più di arabi israeliani, un tabù ritenuto fino ad oggi insuperabile.
La situazione in poche parole è la seguente: i palestinesi minacciano di abbandonare le trattative se la liberazione dei 26 non viene effettuata in settimana come già convenuto dalle parti mesi fa. Gli israeliani si rifiutano di effettuare il rilascio senza un preciso impegno palestinese di proseguire le trattative.
Come già scritto nel post precedente Nathanyau non ha abbastanza forza politica all’interno del suo governo e del suo partito per far passare una decisione del genere e uscirne indenno mentre per Abu Mazen la liberazione di detenuti arabo israeliani è marginale e potrebbe benissimo farne a meno in cambio di palestinesi provenienti dalla cisgiordania. In questo caso Mahmoud Abbas cerca di sfruttare al massimo la situazione mettendo in cattiva luce il comportamento israeliano.
Dato per scontato che il rilascio in programma non venga effettuato quali potrebbero essere i possibili scenari? I palestinesi hanno in mano due carte non indifferenti ma problematiche.
La prima è quella di rivolgersi all’ONU per modificare il suo stato giuridico e diventare di fatto uno stato membro. La seconda è quella di abbandonare del tutto il tavolo delle trattative incoraggiare il malcontento popolare e aprire di fatto una terza intifada.
La prima opzione è improbabile in quanto i palestinesi sprecherebbero la loro arma migliore inimicandosi il Congresso americano. Attualmente il loro interesse è quello di minacciare una possibile richiesta ma non di effettuarla. La seconda possibilità è ancora più problematica: non è per niente scontato che in caso di una rivolta popolare Abas e l’attuale leadership palestinese possano continuare a governare.
La situazione di Nethanyau è leggermente migliore: l’aver posto sul tavolo delle trattative la richiesta di riconoscere il carattere ebraico dello stato d’ Israele continua a dare i suoi frutti, almeno per il breve termine.
Gli unici che potrebbe rompere le uova nel paniere sono gli americani, nel caso imponessero una loro lettera d’intenti cosa che scontenterebbe entrambe le parti.
E così ci ritroviamo al punto di partenza, l’obiettivo di Bibi e Abu Mazen è quello di sopravvivere politicamente, ergo di non prendere nessuna iniziativa politica che possa sconvolgere l’eterno stallo esistente.
Siamo costretti ad assistere ad un assurdo gioco delle parti: due personaggi con poche risorse economiche che pur di far colpo sul loro amico americano continuano a trattare un oggetto nel mercato arabo della città vecchia di Gerusalemme. Qualcosa alla quale nessuno dei due è veramente interessato, e di cui non hanno nemmeno i soldi per acquistarla.