La Mania(ca) rivoluzionaria.


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E’ triste ammetterlo, ma  il sionismo prima e lo Stato d’Israele dopo non hanno mai valorizzato i personaggi femminili che hanno contribuito alla costruzione del paese, come del resto e’ stata la prassi in quasi tutte le nazioni del mondo occidentale. Golda Meier e’ la tipica eccezione che conferma la regola. Non a caso Ben Gurion la definì  “l’unico ministro con le palle del mio governo ” lasciando intendere che l’ex ragazzina di Milwaukee non era considerata proprio una bellezza.

Eppure la pur breve storia del sionismo è piena di personaggi femminili affascinanti,anticonformisti, rocamboleschi, pieni di pathos rivoluzionario, appassionati e appassionanti al tempo stesso. E’ il caso  di Mania Shohat, una donna più grande della vita stessa, come si usa dire in Israele, al cui confronto Mata Hari e le femministe pre e post sessantottine fanno la figura delle pivelline.

Mania naque nel 1878 in Bielorussia, in quella che allora veniva definita la “zona di residenza”, una parte di territorio dell’impero zarista riservata agli ebrei e dalla quale si poteva uscire solo dietro uno speciale lasciapassare rilasciato dalle autorità. Operaia in uno stabilimento di proprietà della famiglia s’innamorò di un giovane rivoluzionario e si unì al Bund, il movimento operaio socialista ebraico, a causa del suo attivismo venne arrestata dall’Ochrana, la famigerata polizia segreta zarista.

Vita rocambolesca dicevo, Mania si innamora di uno dei comandanti dell’Ochrana che la convince a fondare un  partito operaio ebraico indipendente foraggiato dallo zar. La condizione di un tale appoggio è quella di non occuparsi di politica ma solo di questioni economiche. Il successo del nuovo partito è enorme, i suoi aderenti diventeranno in pochissimo tempo decine di migliaia.  Verrà sciolto da coloro che ne avevano incoraggiato la creazione soltanto due anni dopo.

Dopo un primo breve soggiorno in Palestina ed un lungo viaggio in Europa e Nord America dove viene a contatto con delle realtà comunitarie di stampo comunista, Mania ritorna in Palestina nel 1907. Nel biennio 1907-1909 Mania fa in tempo a sposarsi, fondare un collettivo socialista ed un’organizzazione segreta di autodifesa, Bar Ghiora, capostipite della più famosa Hashomer. Subito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale verrà deportata in Turchia dalle autorità ottomane giustamente sospettose nei confronti della “pasionaria” sionista.

Alla fine del conflitto la coppia torna in palestina e giusto per non annoiarsi fa parte dei fondatori dei “battaglioni del lavoro” organizzazioni proletarie in cerca di lavoro che si spostavano per il paese a seconda delle occupazioni disponibili sul campo. I battaglioni erano delle vere e proprie comuni nomadi, un esperimento mai tentato in nessuna altra parte del globo diventato poi la fucina dell’aristocrazia proletaria sionista.

Mania è una donna abituata a vivere nel pericolo e nella clandestinità, niente di più naturale che insieme al marito ed altri membri dell’ormai sciolta  Hashomer fondino una nuova organizzazione: “il kibbutz segreto”, una  forza di difesa armata clandestina parallela all’Haganah, l’embrione del futuro esercito israeliano. La clandestinità e la segretezza dell’organizzazione, molte volte antagonista dell’Haganah, raggiungeranno  livelli maniacali. Parte dei depositi segreti dove furono nascosti armamenti ed esplosivi non furono mai rivelati e  rimangono ancora in attesa di essere scoperti. Ne avevo gia parlato in un post precedente.

Mania fu anche attiva seppur con poco successo nei rapporti fra arabi ed ebrei negli anni trenta, le sue radici rivoluzionarie la spinsero a cercare un dialogo con la controparte senza abbandonare però una diffidenza tipica dei membri dell’Hashomer.

Alla creazione dello Stato d’Israele Mania ha settant’anni, cerca d’inserirsi nella vita politica “ordinaria” ma con poco successo. Il suo carattere anticonformista e le sue posizioni sempre al limite dell’illegalità la rendono poco gradita all’establishment governativo. Nonostante si fosse separata dal marito, abbandonerà il kibbutz Kfar Ghiladì per raggiungerlo a Tel Aviv ed accudirlo durante la sua malattia. Si spegnerà nella “città bianca” nel 1961, all’età di 83 anni.

Mania non è un’eccezione, la storia del sionismo è piena di donne simili e in futuro avremo l’occasione di farne la conoscenza. “Ah, le donne di una volta” recita una famose canzone “dove sono finite?”.

Non sono andate da nessuna parte, sono sempre qui con noi.

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